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• Reg. Tribunale di Trani Num. 7/07 del 10 Marzo 2007 • Editore: Le Vele Srls - Corso Mazzini 15 - Corato (Ba) • Dir. Resp.: Viviana D'introno​ • Pubblicità: Sette Sette

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Giorno del Ricordo, lettera dell' ANPI Corato

10-02-2022 13:24

Redazione

ATTUALITA', CULTURA,

Giorno del Ricordo, lettera dell' ANPI Corato

Pubblichiamo la lettera scritta da Giovanni Capurso, professore storico e presidente della locale sezione ANPI, a proposito della giornata del Ricordo

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Pubblichiamo la lettera scritta da Giovanni Capurso, professore storico e presidente della locale sezione ANPI, a proposito della giornata del Ricordo, istituita nel 2004 per ricordare tra tragedia delle foibe ( nella foto un esempio di "foiba"), avvenuta durante la Seconda guerra mondiale in Friuli Venezia Giulia e Dalmazia.

  

Gentile Direttore, 

ho deciso di scriverLe in occasione della ricorrenza del “Giorno del Ricordo”, che si celebra il 10 febbraio, per manifestare la mia forte preoccupazione in merito a una grave deriva del nostro tempo. 

Anticipo le mie scuse a Lei e ai lettori per la lunghezza della missiva, ma il tema credo che meriti un’opportuna argomentazione. 

Oggi abbiamo pronte, come su un vassoio, una quantità di informazioni potenzialmente infinita, ma molto spesso si tratta di una comunicazione che rimane in superficie, che non scava nelle ragioni profonde e non si interroga. Così con il cambiare delle generazioni, i figli assomigliano sempre più ai loro tempi che ai loro padri, direbbe Marc Bloch. 

L’appiattimento sul presente sta generando una rapida estinzione della memoria collettiva. È un fenomeno che, nel celebre saggio Il secolo breve, Eric Hobsbawm ha spiegato molto bene: “La distruzione del passato, o meglio la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani degli ultimi anni del Novecento. La maggior parte dei giovani alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono”. Per essere concreti, questo processo si traduce in accostamenti aberranti come, per fare un esempio recente, le manifestazioni no green pass con sfilate da prigionieri ebrei dei lager nazisti con la stella di David gialla. A questo regresso storico, negli ultimi anni, si cerca di rispondere generando anticorpi attraverso dei segni visibili come pietre d’inciampo, murales, e viventi come piantumazioni di alberi. Cose che sta facendo anche l’ANPI di Corato nel suo piccolo da quando è nata. 

Come possono invece rientrare le foibe in questo discorso? Inizio col dire che sulla vexata quaestio, diversamente da quanto comunemente si crede, gli storici già da tempo sono abbastanza concordi sul contesto in cui si svilupparono queste stragi. Anzi, è talmente ovvia da essere normalmente inquadrata da un docente di storia a partire dalla “vittoria mutilata” di dannunziana memoria. 

Il problema è la restituzione fatta all’opinione pubblica attraverso un uso soprattutto politico della vicenda come si è fatto negli ultimi anni. Precisiamo, a tal proposito, una cosa fondamentale: non c’è servizio peggiore che si possa fare alla ricerca storica se non il suo uso a fini politici. Purtroppo, l’equiparazione con l’Olocausto è un topos che si sta affermando sempre più spesso nell’uso politico di questa vicenda. Secondo tale costruzione simbolica, le foibe sarebbero “la nostra Shoah” e chi ne sminuisce la portata viene di conseguenza accusato di “riduzionismo” se non di “negazionismo”. 

È necessario invece ribadire l’importanza della comprensione dei fenomeni storici nella loro complessità, evitare che una narrazione deformata, o che si limita a spiattellare numeri senza fare ermeneutica ripetuta a livelli mediatici e istituzionali, crei divisioni.

Per non cadere in retaggi ideologici, le foibe vanno inquadrate all’interno di un preciso contesto storico e geografico. Dopo la Grande Guerra, l’Italia chiese, da un lato, il rispetto degli accordi di Londra, senza alcun riguardo per il principio di nazionalità verso i popoli slavi; dall’altro, rivendicò proprio in virtù dello stesso principio di nazionalità la città di Fiume. Nei territori assegnati all’Italia, il fascismo iniziò precocemente una forzata e brutale italianizzazione della popolazione slava: imposizione dell’italiano come unica lingua pubblica, chiusura delle scuole slovene e croate, divieto di celebrare le funzioni religiose in lingua slava; chiusura delle organizzazioni economiche, culturali e ricreative slovene. Con l’invasione italo-tedesca della Jugoslavia del 1941, anche nell’area giuliano-dalmata e istriana si scatenò una violenta guerriglia partigiana, cui gli italiani risposero con arresti, fucilazioni, rastrellamenti, deportazioni anche di popolazioni civile (circa 3000 persone) in campi di internamento, i più noti dei quali sono quelli di Gonars (Udine) e dell’isola di Rab (Arbe), dove moltissimi morirono di stenti. 

Dopo l’armistizio del settembre 1943 i rastrellamenti diventarono ancora più feroci, come quello che colpì il paese di Lipa, vicino Fiume, distrutto il 30 aprile 1944 da truppe fasciste e naziste, che uccisero 269 persone (molte delle quali bruciate vive). L’arresto indiscriminato e la tortura diventarono pratiche comuni, portate avanti dalla Gestapo, ma anche da gruppi paramilitari che operavano quasi autonomamente. Inoltre a Trieste si costituì l’unico campo con pratiche di sterminio presente sul territorio italiano: la Risiera di San Sabba. Utilizzata per la deportazione della popolazione ebraica verso i lager della Polonia, la Risiera venne utilizzata anche da campo di eliminazione per i partigiani locali, sia italiani che jugoslavi. Le vittime dirette del lager, gestito dalle autorità naziste ma a cui contribuirono attivamente le delazioni e gli arresti compiuti dai fascisti, furono circa 5000.

Anche il riferimento all’uccisione di bambini è un luogo comune del tutto inventato. Gli studiosi che hanno condotto ricerche approfondite hanno individuato due o tre casi di bambini e adolescenti morti nelle violenze di cui stiamo parlando: si tratta evidentemente di episodi isolati relativi agli scontri a fuoco (siamo nel pieno di una guerra di Liberazione). Lo stesso vale per le vittime femminili, perseguitate per il loro ruolo, per la loro appartenenza familiare e politica o perché ritenute spie. Esse rappresentano circa il 5% delle vittime e sono certamente un obiettivo privilegiato di parte di compì le violenze. 

L’insistenza sulla presenza di donne e bambini tra le vittime delle foibe è dunque un artificio retorico, volto a creare l’immaginario di un popolo innocente massacrato senza pietà. Un esempio lampante sono i 198 infoibati pugliesi: per quanto ne sappiamo furono non a caso tutti uomini. 

Nei giorni successivi le autorità tedesche resero note le uccisioni compiute dai partigiani, orchestrando una grande campagna propagandistica. I mass media nazisti mostrarono per mesi i corpi delle vittime ritrovati nelle foibe, con lo scopo di evidenziare la “barbarie slavocomunista”, di diffondere odio e paura, e di presentarsi come unici tutori dell’ordine in un contesto che, diversamente, sarebbe stato travolto dall’anarchia. Le stesse donne processate furono in numero limitato, perché evidentemente poche donne ricoprono incarichi importanti nel regime fascista. La volontà degli aggressori era infatti quella di colpire solo determinate categorie di persone, ritenute, a torto o a ragione, responsabili dell’oppressione subita per più di due decenni. Per farLe ancora un esempio, le 198 vittime pugliesi, comprese le cinque coratine, erano in buona parte persone dell’Arma smobilitate che avevano aderito alla Repubblica sociale di Salò o erano comunque collaborazioniste. 

Approfitto a tal proposito per elencarLe i nomi delle cinque vittime coratine recuperate incrociando i dati più attendibili: Olivieri Pasquale, Tandoi Pasquale, Longo Nicola, Longo Filiberto, Olivieri Francesco. Di loro va mantenuta una giusta memoria affinché le tragedie e gli errori del passato siano un monito per il presente.