
Si è tenuto nella prima serata del 3 dicembre, presso la sede della CAP 70033 l'incontro per ricordare Santa Scorese, la prima vittima "ufficiale" di femminicidio; ha portare il suo ricordo la sorella Rosa Maria.
La storia di Santa è il prototipo del femminicidio (termine esteticamente brutto, ma la cui bruttezza in qualche modo palesa già l'orrore a cui si riferisce): la ragazza inizia ad essere perseguitata da un giovane con problemi psichiatrici - quello che con un linguaggio successivo verrebbe definito "stalker" - e nonostante un tentativo di aggressione da parte del soggetto, le autorità non presero sul serio le richieste di protezione della giovane e della famiglia. Fino al tragico epilogo: nella notte del 15 marzo 1993 Santa viene uccisa - a 23 anni - sotto il portone di casa. Dopo le prime ore di strazio è la sorella Rosa Maria a sentire il peso e la responsabilità che questa morte portavano: "Ho pensato a tutto quello che andava fatto - a detto Rosa Maria - Santa, che non aveva più voce, doveva tuonare". Da qui l'impegno della donna nel raccontare la storia della sorella, che continua ad essere la storia di troppe donne in un clima culturale dominato ancora da modelli perversi e pervasivi.
Due sono le direzioni in cui combattere la lotta; da un lato sul piano culturale - e linguistico - dall'altro sul piano dei servizi. Per il primo punto, la stessa Rosa Maria - che è maestra, quindi ha un ruolo di primo piano nell'educazione - ha ricordato l'importanza di includere il genere, quanto meno il femminile (e non solo, aggiungiamo noi) nel linguaggio quotidiano: usare il "tutti e tutte" oppure declinare anche al femminile il nome delle professioni. Mosse che potrebbero far storcere il naso ai purista della lingua, ma che sono essenziali perché l'identità di genere sia riconosciuta come paritaria a partire proprio da ciò che è onnipresente nelle nostre relazioni: il linguaggio. A ciò si deve aggiungere una maggiore sensibilizzazioni sul tema tra gli inquirenti, coloro a cui le donne vittime si rivolgono. "C'è ancora una sottovalutazione del rischio (...) vi è ancora del pregiudizio da parte di chi dovrebbe tutelare" sostiene la Scorese, nonostante il problema sia riconosciuto e si siano messi in campo dispositivi normativi "che però vanno usati bene" ammonisce sempre la Scorese.
Quanto alla secondo vettore di intervento, i servizi, la situazione non sembra essere delle migliori: "Per i servizi i problemi sono enormi - ha ricordato il Sindaco - i centri antiviolenza fanno parte di un sistema mediocre che diventa, per le istituzioni pubbliche, un modo per liberarsi la coscienza" Un centro antiviolenza funziona solo se inserito in un reale contesto socio - assistenziale. aspetto che nel nostro territorio sembra mancare. Un contesto la cui presenza deve essere sentita, per rompere quella cappa di omertà e diffidenza in cui si trova la vittima. Anche a Corato esiste un centro antiviolenza...ma in quanti sanno dove si trova?
Per concludere: dalla morte di Santa, passi avanti sono stati fatti quanto meno nel riconoscimento pubblico del problema; adesso è ora di affrontarlo e sono proprio gli uomini a doverlo fare, acquisendo consapevolezza di quali sono le modalità - anche non immediate, come per esempio svalutare una professionista chiamandola "signorina" pittosto che con il titolo adatto - tramite le quali si perpetuano rapporti di sottomissione tra i sessi. Solo così lo scopo per cui Rosa Maria si sta impegnando si realizzerà: "Far sì che fra un paio di generazioni il femminicidio diventi una brutta ciccatrice"
P.s. il centro antiviolenza "Riscoprirsi" si trova in via Dante 59